LA CLASSE DEL MAESTRO
Intervista a Mario Lodi su Famiglia Cristiana del 23 novembre 2008
Nella foto, sul vetro della finestra, Mario Lodi scrive “I Care”, mi interessa, il motto che fu di don Lorenzo Milani e della scuola di Barbiana.
L’istruzione e le riforme: intervista a Mario Lodi
LA CLASSE DEL MAESTRO
Il grande scrittore ed educatore parla del suo metodo per far crescere i bambini delle elementari e farli diventare cittadini consapevoli e maturi.
Ecco la sua lezione di vita.
di Elisa Chiari
Mario Lodi è ancora il Maestro, con le maiuscole. A Drizzona, quattro case e un fazzoletto di campo da Piadena, in piena bruma bassopadana, sanno tutti dove abita. Perché così si usava quando varcò per la prima volta col diploma in tasca la soglia di un’aula, ai tempi in cui il maestro insieme con il parroco, il medico e il sindaco era l’autorità del paese. Eppure Mario Lodi non ha nostalgia della scuola autoritaria di quei tempi. Anzi, è sceso dalla cattedra il primo giorno accontentandosi di una sedia (per mettersi all’altezza dei bambini) e da allora si batte per una riforma da dentro, senza troppi riguardi per le teorie dei ministri d’ogni colore che si susseguono e fanno e disfanno senza sosta. Sperimentò la sua idea di scuola quando ci entrò nel secondo dopoguerra e la risperimenta oggi, a 86 anni, facendo da “chioccia” a un gruppo di maestri giovani sparsi per l’Italia.
A guidarli l’esperienza e le leggi che ci sono già, prima di tutto la Costituzione: “Non per leggerla, ma per viverla, in aula, a sei anni, perché la scuola non può accontentarsi di leggere e scrivere, deve crescere cittadini responsabili”.
Da settant’anni osserva bambini nel tempo e vede più continuità che differenze: “Il mondo è diverso da allora, ma non sono convinto, da quel che vedo frequentandoli, che i bambini di sei anni abbiano esigenze troppo diverse da quelle di sempre. Semmai abbiamo un problema in più da fronteggiare, fatto di Tv e computer che scollano sempre più i bambini dalla vita reale per proiettarli in un eterno virtuale, insinuando in loro la convinzione che l’avere conti più dell’essere e del sapere”.
Rende l’idea con un aneddoto: “Sono stato in una classe poco tempo fa, ho chiesto ai bambini cosa sognassero di fare, uno mi ha risposto ‘il miliardario’, ovviamente in euro, ‘così mi compro due belle ragazze e due macchine’. Gli altri ne hanno fatto subito un leader. Nel ‘mi compro’ c’è un’idea di mondo. Se vogliamo una speranza come scuola dobbiamo inventarci un sistema per fermare questo mercato. Non so se l’idea che ho saprà farlo. Sperimentiamo, poi magari alla fine scopriremo che non vale, ma almeno proviamo”.
L’aula come uno Stato
Quel che Mario Lodi sta provando è un’evoluzione adattata all’oggi del suo metodo di insegnamento. La documentazione del progetto è un diario di fogli scritti al computer, registra quel che i maestri con cui è in contatto fanno in classe giorno per giorno, seguendo la sua idea di scuola democratica.
Che vuol dire esattamente?
“I bambini arrivano in classe con un sapere: esplorando il mondo hanno imparato a osservare, a parlare e sviluppato spontaneamente un’enorme mole di conoscenze. Da lì bisogna partire, cominciando a non ignorare le cose che sanno e replicando il metodo con cui le hanno apprese. Un bambino che nasce ha nel pianto il primo strumento per esercitare la libertà di espressione, sa usarlo anche se non sa che esiste l’articolo 21”.
Il problema è che, per usare le parole di Lodi, a scuola l’io deve diventare noi:
“All’inizio, parlando in classe, i bambini fanno confusione, si scavalcano, parlano tutti insieme. Far sperimentare un momento di caos è un modo per far intendere loro l’esigenza di rispettare i tempi e le parole altrui. I primi minuti di discussione ordinata sono il primo successo. Poi viene la cooperazione: immagino una scuola dove si discutono le esigenze e di conseguenza le regole. Tra le prime cose che chiedevo ai miei bambini e che i maestri oggi chiedono ai loro è di darsi da fare assieme per rendere la loro aula più accogliente: la si fa bella con i contributi di tutti, perché così diventa casa e la si rispetta. E’ il nostro antidoto contro il vandalismo”.
Il principio funziona anche con le regole:
“Quando l’io diventa noi, i cittadini dell’aula hanno bisogno di darsi delle norme condivise, perché senza regnano caos e prevaricazione: discutere insieme le regole, darsele democraticamente, significa accettarle. Lo stesso vale per la valutazione: ci si autovaluta, con un linguaggio che i bambini sappiano capire, nel rispetto dei tempi di tutti. Non credo ai voti alle elementari: un bambino di quell’età non può essere sintetizzato a numeri. So per esperienza che far leva sui progressi, sulla soddisfazione, nell’apprendimento paga più della sottolineatura degli errori”.
I bambini prima di tutto
“Quando si ragiona di cambiare la scuola”, continua Lodi “lo si fa sempre partendo da un’idea astratta e quando si insegna si tende a farlo dall’alto. Invece io credo che si impari meglio se un maestro parte dal basso, dal punto di vista del bambino, creando continuità con il suo apprendere prima della scuola. Perchè funzioni serve una costante comunicazione con le famiglie, ma è meno difficile di come sembra: se quel che si fa a scuola si traduce ogni 15 giorni in un giornalino le informazioni passano”.
Nella scuola di Mario Lodi il bambino sta al centro:
“E invece spesso le esigenze degli alunni sono l’ultimo pensiero”.
E’ un’idea di scuola, ma di più una realtà, perchè Mario Lodi l’ha messa in pratica per una vita. Dentro c’è un concetto di classe come “fare insieme” che don Lorenzo Milani applicò a Barbiana.
E infatti le classi di Lodi e Milani si scambiarono lettere per un po’:
“Avevo scoperto un po’ per caso che, a distanza, stavamo sperimentando cose simili e sono andato a Barbiana a conoscerlo. Lì è nata la corrispondenza”.
Quando gli chiediamo che ne pensa del maestro unico di cui tanto si discute Lodi risponde che:
“Non è fondamentale che siano uno o tanti, dipende tutto da come sono. Anche il tempo pieno l’abbiamo inventato noi, a Barbiana e a Vho di Piadena, ma non è un valore in sé, conta quel che ci metti dentro: se è un parcheggio non serve a niente”.
Vengono in mente le parole di don Milani:
“Gli amici mi chiedono come faccio a far scuola e come faccio ad averla piena. Insistono perché io scriva per loro un metodo, che io precisi per loro i programmi, le materie, la tecnica didattica. Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisognafare per far scuola, ma solo di come bisogna essere per fare scuola”.
Nessuno, né don Milani che non c’è più da tanto tempo, né Mario Lodi che a 86 anni ancora insegna delle cose, si è mai illuso che fosse facile tradurre in realtà gli ideali.
Ma non sembra una buona ragione per non provare.
Da FAMIGLIA CRISTIANA n° 47 23 novembre 2008
http://www.casadelleartiedelgioco.it/mariolodi/wmview.php?ArtID=88
Leggendo sul “Corriere” delle due mostre dedicate in questi giorni a Torino ad Alberto Manzi scopriamo che, tornato nella scuola dopo gli anni della notorietà televisiva, «venne punito dal ministero con la sospensione senza paga per il suo rifiuto di redigere le schede di valutazione che avevano appena mandato in soffitta le pagelle con i voti» E che quando alla fine si “adeguò” «lo fece a modo suo, stampando una unica valutazione per gli alunni con un timbro sul quale era impressa questa frase: “Fa quel che può, quel che non può, non fa”»
Dato che ormai ho la mia età, mi ricordo nello schermo TVla bellezza della sua grafia. Poi ho scoperto che aveva un approccio con i bambini straordinario, modernissimo e, in senso lato, politico, con la sua preoccupazione di educare soprattutto cittadini consapevoli e autonomi nelle scelte. Probabilmente è per questo che di lui si parla tutto meno di quanto meriterebbe.
Esempi come quello di Alberto Manzi, don Lorenzo Milani, Mario Lodi soprattutto di questi tempi, in cui il governo in carica manovra per affossare la scuola pubblica e anche nella “resistenza” ci sono molte ambiguità e incertezze, indicano chiaramente una strada per il futuro, contro il conformismo dei luoghi comuni, le derive commerciali spacciate per “tecnologia”, verso una formazione delle giovani generazioni che urgentemente riporti al centro le persone. Scriveva: «Il bambino ha una rete di conoscenze di una
complessità insospettata; fatti e conoscenze diverse sono legati tra loro in modo rigoroso e coerente. (…) Questo sforzo di capire e spiegare i fatti, esiste. Non deve essere dimenticato o distrutto. (…) Sembra di perdere molto tempo, ma solo così possiamo entrare nel suo mondo (…) Non possiamo aiutarlo ad ampliare i suoi concetti se non sappiamo quello che sa».
Paulo Freire il maestro che insegnò la Libertà e la Dignità agli Oppressi
[…] La vera generosità consiste precisamente nel combattere per distruggere le cause che alimentano la falsa carità.
[…] Liberazione: un fenomeno umano, che non può essere ottenuto da persone in condizione di schiavitù .(ecco a cosa serve la loro crescita spirituale ed istruzione)
[…] Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, le persone si educano insieme, con la mediazione del mondo.
Paulo Freire nacque a Recife in Brasile nel 1921.
Il padre era uno spiritualista, la madre invece cattolica imparando dal rispetto che ebbero uno dell’altro il dialogo. La sua famiglia si trasferì a vivere nel 1929 a Jaboatão dove seguì gli studi secondari.
Freire riuscì ad alfabetizzare 300 adulti in un mese e mezzo, applicando il proprio metodo, per cui il Governo Federale decise di estendere l’azione educativa in tutto il territorio brasiliano. Nel 1964 per il Golpe di Stato si interruppe la campagna di alfabetizzazione che Freire aveva organizzato e venne incarcerato come sovversivo intenzionale. Uscito dal carcere Freire si rifugiò nell’ambasciata di Bolivia per iniziare un lungo esilio. In Cile si fermò dal 1964 al 1969. Lavorando come professore all’Università di Santiago, elaborò una delle sue opere più importanti: “L’educazione come pratica di libertà” dove scrisse le esperienze realizzate in Brasile, e “Pedagogia dell’Oppresso” che costituisce l’opera che più lo rappresenta.
Il suo metodo fu utilizzato nelle campagne di alfabetizzazione che vennero realizzate in tutto il territorio del Cile.
[…] Gli oppressi devono lottare come uomini e non come “cose”.
Lettera di Mario lodi alle maestre ed ai maestri.
Care maestre e cari maestri,
mi è capitato spesso, in questo periodo, di ricevere lettere o telefonate da qualcuno di voi. La domanda che mi viene rivolta con maggiore insistenza è: “Come facciamo a insegnare, in tempi come questi?”. I sottintesi alla domanda sono molti: il ritorno del “maestro unico”; classi sempre più affollate; bambini e bambine che provengono da altre culture e lingue e non sanno l’italiano etc.
Anch’io, come voi, soprattutto nei primi anni della mia attività di maestro, mi ponevo interrogativi analoghi.
Ho cominciato ad insegnare subito dopo la guerra. Le classi erano molto numerose. Capitava anche di avere bambini e bambine di età diverse.
Forse qualcuno di voi ha la brutta sensazione di lavorare come dopo un conflitto: in mezzo a macerie morali e culturali, a volte causate dal potente di turno – ce n’erano anche quando insegnavo io – che pensa di sistemare tutto con qualche provvedimento d’imperio.
I vecchi contadini delle mie parti dicevano sempre che i potenti sono come la pioggia: se puoi, da essa, cerchi riparo; se no, te la prendi e cerchi di non ammalarti e, magari, di fare in modo che si trasformi in refrigerio e nutrimento per i tuoi fiori.
Il mio augurio per il nuovo anno scolastico è questo: NON SENTITEVI MAI DA SOLE E DA SOLI!
Prima di tutto ci sono i bambini e le bambine, che devono essere nonostante tutto al centro del vostro lavoro e che, vedrete, non finiranno mai di sorprendervi.
Poi ci sono altre e altri che, come voi, si stanno chiedendo in giro per l’Italia quale sia ancora il senso di questo bellissimo mestiere. Capitò così anche a me, anche a noi. Cercammo colleghe e colleghi che si ponessero le nostre stesse domande e fu così che incontrammo Giuseppe Tamagnini, Giovanna Legatti, Bruno Ciari e altre e altri con i quali costruimmo il Movimento di Cooperazione Educativa.
Poi ci sono anche i genitori e le zie e i nonni dei vostri alunni e delle vostre alunne, che possono darvi una mano, se saprete, anche insieme a loro, rendere la scuola un luogo accogliente e bello, in cui ciascuno abbia il piacere e la felicità di entrare e restare assieme ad altri.
Non dimenticate che davanti al maestro e alla maestra passa sempre il futuro. Non solo quello della scuola, ma quello di un intero Paese: che ha alla sua base un testo fondamentale e ricchissimo, la Costituzione, che può essere il vostro primo strumento di lavoro.
Siate orgogliosi dell’importanza del vostro mestiere e pretendete che esso venga riconosciuto per quel moltissimo che vale.
Un abbraccio grande.
Mario Lodi
http://youtu.be/l04yEbxudf8